La luce come linguaggio invisibile

Leggere la luce, per me, è come leggere l’abecedario, qualsiasi scena insegna qualcosa basta fermarsi ad osservare, vedo che in fotografia molti non si fermano ad osservare tutte le sfumature e i riflessi che una scena o un soggetto possono avere. Questa frase — “leggere la luce è come leggere l’abecedario” — è potentissima: suggerisce che ogni scena è un messaggio da decifrare, e la luce è l’alfabeto con cui il mondo scrive le sue storie.

La luce è un linguaggio: ogni soggetto illuminato è una lettera, ogni riflesso una punteggiatura, ogni ombra un silenzio carico di significato. Ma per leggere questo linguaggio, bisogna fermarsi. Non basta scattare: serve osservare, e lasciarsi sorprendere. C’è una fretta diffusa oggi, anche nella fotografia: quella di “portare a casa lo scatto” senza ascoltare ciò che la scena vuole dirci. Ma la luce ha mille accenti, cambia tono, sussurra oppure grida. Solo chi sa aspettare riesce a sentire tutto.

In queste due immagini, pubblicate, vorrei far vedere come può cambiare la lettura della luce quando fotografiamo, ci sono delle differenze evidenti, ma il nostro cervello o la nostra visione finale quale è ?

La luce non cambia solo l’immagine cambia noi. ✨

Nelle due foto che ho caricato nella composizione, si vede benissimo come una minima variazione di luce possa riscrivere completamente la percezione della scena:

  • Nella prima, l’atmosfera è più intima, quasi misteriosa, come se le foglie si stessero ritirando nel silenzio.
  • Nella seconda, è come se si fossero aperte al mondo: la luce ravviva i colori, fa emergere le venature, restituisce una presenza più viva e tangibile.

E allora la domanda che pongo è potentissima: cosa registra davvero il nostro cervello? La scena? La luce? O l’emozione che ci lascia dentro?

📖 Forse la visione finale non è né la prima né la seconda, ma un ricordo luminoso che le contiene entrambe. La nostra mente sceglie di vedere ciò che sente. E la luce, come un accento su una parola, cambia completamente il significato della realtà che leggiamo.

Concludo dicendo: “Tra due luci: ciò che vediamo e ciò che ricordiamo?”

La fotografia non è solo un atto visivo. È un dialogo tra luce, tempo e memoria. Ogni scatto ci ricorda che non siamo mai spettatori neutrali: portiamo sempre con noi ciò che abbiamo visto, ma soprattutto come l’abbiamo visto.

La luce non incide solo sulla pellicola o sensore. Incide anche dentro di noi.

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